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30 Aprile 2020

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Diritto societario e M&A

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Sui contratti di locazione commerciale ai tempi del Coronavirus



L’attuale legislazione d’urgenza in tema di contrasto alla diffusione del virus COVID-19, nell’ultima versione aggiornata al 26 aprile 2020, prevede la sospensione delle attività produttive e di commercio al dettaglio (salvo quelle espressamente escluse) fino al 17 maggio 2020. Tali sospensioni possono incidere in modo significativo, seppure indirettamente, sulla capacità del conduttore di adempiere gli obblighi derivanti dai contratti di locazione commerciale relativi agli immobili in cui si svolgono le attività oggetto di sospensione; per tale motivo, non può escludersi aprioristicamente la sussistenza del diritto del conduttore a non pagare i canoni per il periodo di sospensione dell’attività, o del diritto a sospendere il pagamento o, ancora, del diritto a risolvere o recedere dal contratto. Ciò detto, un’interpretazione strettamente letterale delle disposizioni emanate dal Governo sembrerebbe mettere in dubbio la configurabilità della sopra citata legislazione d’urgenza quale causa di forza maggiore per i contratti di locazione di immobili ad uso commerciale, tale da fondare un qualche diritto del conduttore ad ottenere condizioni contrattuali più vantaggiose. Infatti, se è vero che la sospensione delle attività produttive e commerciali costituisce un evento imprevedibile e non imputabile né al conduttore né al locatore, è altrettanto vero che non sembrano essere divenuti impossibili né l’adempimento del primo, né quello del secondo. Da una parte, infatti, pur incidendo sul flusso di cassa del conduttore, la sospensione dell’attività non impedisce allo stesso di eseguire la propria prestazione, ossia di pagare il canone al fine di tutelare l’interesse del creditore; d’altra parte, la sospensione non impedisce nemmeno la prestazione del locatore, il quale non è impedito nel mettere l’immobile a disposizione del godimento del conduttore. Tale interpretazione sembra coerente con la natura (almeno per il momento) temporalmente circoscritta delle disposizioni d’urgenza (i.e. sessantasei o cinquantacinque giorni, a seconda dei casi) e con la durata (presubilmente) pluriennale dei contratti di locazione. Fermo quanto detto, non ci si può esimere dal rilevare come eventuali ulteriori proroghe rilevanti del periodo di sospensione delle attività produttive e commerciali possano avere conseguenze non indifferenti sui contratti di locazione di immobili ad uso commerciale. In particolare, sembra plausibile che ulteriori proroghe possano legittimare i conduttori ad avvalersi dei seguenti istituti:

1.    La riduzione del canone dovuto per il periodo di sospensione ai sensi dell’art. 1464 c.c. Sul punto si deve osservare come l’ordine dell’Autorità che ha disposto la sospensione delle attività commerciali e produttive non consenta al locatore di mettere a disposizione del conduttore un immobile commerciale sfruttabile economicamente nella sua piena potenzialità, quella che, deve presumersi, è stata presa a fondamento delle parti per giungere all’accordo e per determinare il canone di locazione (infatti sono interdette la gran parte delle attività commerciali e produttive, nonché l’accesso del pubblico ai locali). L’impossibilità della prestazione del locatore potrebbe quindi dirsi legata all’inidoneità (parziale e temporanea) del bene locato all’uso previsto e, incidendo sulla qualità giuridica dell’oggetto, rileverebbe sul piano dell’(in)esattezza della prestazione dovuta dal locatore. Poiché tale impossibilità manca del carattere della definitività (una ripresa delle attività commerciali e produttive è inevitabile), non sarà possibile invocare la risoluzione per impossibilità totale ai sensi degli artt. 1463 e 1256 c.c., tuttavia detta impossibilità potrebbe legittimare la richiesta di una riduzione del canone dovuto dal conduttore ai sensi dell’art. 1464 c.c. Invero, si precisa come tale riduzione possa essere astrattamente applicabile anche per il breve periodo di sospensione delle attività di marzo e aprile 2020, ma forse in questo caso si tratterebbe di applicazione eccessivamente rigida della norma alla luce del brevissimo periodo di sospensione e della prestazione comunque parzialmente eseguita dal locatore.
2.    Il recesso del conduttore dal contratto di locazione ai sensi dell’art. 1464 c.c. Per le stesse ragioni di cui al precedente punto sub 1, l’impossibilità parziale della prestazione del locatore di mettere a disposizione del conduttore un immobile commerciale pienamente sfruttabile potrebbe fondare il recesso di quest’ultimo dal contratto, qualora egli non abbia un interesse apprezzabile all’adempimento parziale (trattasi, a ben vedere, di ipotesi del tutto residuale, astrattamente applicabile a quei contratti di locazione commerciale destinati a cessare nel periodo di sospensione dell’attività: il disinteresse del conduttore a mantenere il contratto di locazione per l’ultimo periodo del contratto, durante il quale non può godere pienamente dell’immobile, potrebbe legittimare il recesso anticipato);
3.    La risoluzione del contratto per eccessiva onerosità sopravvenuta ai sensi dell’art. 1467 c.c. per il verificarsi di un avvenimento straordinario ed imprevedibile. Sul punto è indubbio che la diffusione del virus COVID-19 e la conseguente legislazione d’urgenza rappresentino un avvenimento straordinario ed imprevedibile, non addebitabile alle parti. In questo caso, si configurerebbe un caso di eccessiva onerosità sopravvenuta c.d. “indiretta”. Infatti, l’eccessiva onerosità della prestazione dovuta dal conduttore, ossia il pagamento del canone di affitto, sarebbe dovuta allo svilimento oggettivo della prestazione offerta dal locatore, ossia la messa a disposizione di un immobile commerciale il cui utilizzo risulta limitato dall’ordine dell’Autorità. Proprio la perdita del valore di mercato della prestazione offerta dal locatore (rispetto a quello del momento in cui il contratto è stato concluso) legittimerebbe la risoluzione ai sensi dell’art. 1467 c.c. In ogni caso, la percorribilità di tale soluzione non è scontata, né automatica, ma resta legata a una valutazione in concreto del contratto nel suo complesso (in particolare con riferimento alla formulazione dell’obbligo del conduttore), alla durata dello stesso e a quella della sospensione delle attività. In questo senso, potrebbe ritenersi risolvibile un contratto di locazione che preveda il pagamento di un canone annuale diviso per dodici mensilità, laddove la sospensione delle attività per un periodo di rilievo nel corso dell’anno comporti un’eccessiva onerosità della prestazione rispetto al godimento del bene durante detta annualità. Si deve comunque precisare che in tale evenienza il locatore potrebbe evitare la risoluzione offrendo di modificare equamente le condizioni del contratto, ai sensi del terzo comma dell’art. 1467 c.c.
Al momento non si ritiene possibile prevedere con certezza quando cesserà la sospensione delle attività commerciali e produttive disposte dal Governo. Parimenti, in assenza di orientamenti giurisprudenziali specifici in tema di sopravvenienze contrattuali non imputabili alle parti, tali da rendere parzialmente e temporaneamente impossibile l’adempimento di un contratto di durata, non è facile individuare con certezza e a priori le decisioni che i giudici potrebbero assumere. Le soluzioni sopra prospettate possono, in astratto, configurare strumenti idonei al fine di attenuare gli oneri contrattuali del conduttore. Come detto, però, tali soluzioni non sono prive di criticità e potranno trovare estensione applicativa diversa a seconda della durata delle sospensioni governative e della fattispecie concreta di volta in volta in rilievo.

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Riferimenti normativi: artt. 1256, 1258, 1463, 1464, 1467 Codice civile.
Keywords: contratti di affitto; locazione commerciale; coronavirus.

 

 



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