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01 Marzo 2014

Attività
Diritto societario e M&A

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I contratti Knock Down nel diritto industriale



Siamo stati recentemente coinvolti nella predisposizione di un contratto nel settore automotive che sapesse cogliere la peculiarità di u’impresa produttrice di prodotti tecnologici in kit che, una volta ricevuti dal committente, vengono incorporati nel prodotto finito senza alcuna lavorazione ulteriore.
L’occasione consente di precisare come le odierne esigenze di celerità ed economicità nell’esercizio dell’attività d’impresa, unite al notevole impegno tecnologico profuso nella realizzazione di macchinari sempre più avveniristici, ha condotto la prassi commerciale a prevedere alcuni modelli di trasferimento di tecnologia che meglio sapessero plasmare le rinnovate esigenze del mercato. È così divenuto comune sia nell’industria automobilistica, che nel mondo dell’elettronica, il ricorso all’acquisto di moduli pronti o semilavorati da inglobare nei macchinari prodotti. In virtù di una generale applicazione della fattispecie considerata, si deve rilevare come il termine ‘tecnologia' indichi l’insieme delle conoscenze necessarie per una progettazione e/o produzione di un determinato bene.
Prendendo ad esempio il settore che qui interessa (automotive) possiamo osservare come, seppur alcune case produttrici scelgano di produrre l’intera filiera di beni e prodotti direttamente in loco (Complete Build-up Unit), gran parte degli operatori economici del settore prediligano il ricorso al sistema CDK (Completly Knocked Down) o SKD (Semi-Knocked Down). In tali ipotesi, la società produttrice della tecnologia, vende i propri ‘kit' ad altra società perché li inglobi nel proprio prodotto finito.
La scelta di un tale approccio, spesso posto in essere all’interno di gruppi societari (e così il trasferimento di kit tecnologicamente avanzati avviene nei confronti di una propria affiliata o licenziataria), risulta economicamente vantaggiosa sia per l’incidenza della tassazione nazionale sul prodotto finito che per i frequenti incentivi all’impiego di manodopera in paesi in via di sviluppo o loro aree a bassa occupazione; o, ancora, per abbattere il costo unitario del bene oggetto dell’incorporamento (poiché ne risulta troppo onerosa la produzione locale) ed ampliare l’area di vendita verso mercati spesso chiusi o comunque strutturalmente diversi. Si è pertanto dell’idea che tale fenomeno dovrebbe rappresentare solo una tappa intermedia per consentire ai Paesi emergenti di creare ex novo un proprio prodotto in linea con gli approdi raggiunti dalle più moderne tecniche del settore. Oscar Ugo