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Trust, nullità , causa concreta



Due recenti sentenze di merito si sono occupate della validità del trust c.d. interno, precisando come essa vada valutata caso per caso sulla scorta della causa concreta e della meritevolezza degli interessi perseguiti con il singolo trust.
Il Tribunale di Bologna, nella sentenza del 9 gennaio 2014, dopo aver affermato che "non appare più in discussione il diritto di cittadinanza del trust nel nostro ordinamento giuridico", sostiene che "il punto di partenza dell’iter valutativo di un trust non può che essere individuato nella meritevolezza degli interessi dei quali esso deve essere portatore e l’indagine approfondita dell’operatore dovrà fare emergere non solo la pura legittimità della causa sottesa allo specifico negozio giuridico, ma soprattutto l’esistenza di scopi - naturalmente leciti - altrimenti preclusi dal diritto vigente nonché la attitudine funzionale di quello specifico trust e del programma che l’accompagna al raggiungimento del target. Va sottolineato che non deve essere effettuata una valutazione discrezionale sulla meritevolezza dell’atto, necessariamente permeata di elementi soggettivi e particolaristici, ma è richiesta invece la oggettiva presenza di un valore aggiunto apportato dal trust, da valutarsi in chiave squisitamente giuridica, che deve risultare di immediata evidenza". Tale pronuncia, dunque, da un lato ribadisce il principio di residualità - ossia, che il trust c.d. interno può essere validamente utilizzato nei casi in cui l’ordinamento italiano non offra strumenti altrettanto competitivi; dall’altro lato, ribadisce come l’ammissibilità e la riconoscibilità del singolo trust dipendano dalla sua causa concreta.
Analogamente, il Tribunale di Trieste, con sentenza del 22 gennaio 2014, ha censurato un trust perché ritenuto privo di una causa giustificatrice e perché il programma negoziale, secondo il Tribunale, perseguiva il solo interesse alla segregazione, che è un mero effetto del trust e che non può assurgere a causa in concreto dell’atto.
L’attenzione del giudice che si trova a vagliare la validità e l’ammissibilità di un trust c.d. interno si sofferma, dunque, sulla causa in concreto del trust. Ciò detto, le due sentenze citate fanno riflettere sull’importanza delle premesse dell’atto istitutivo - e sull’attenzione che il professionista deve porre nella redazione delle stesse - che rappresentano la parte dell’atto meglio deputata ad illustrare quali finalità il disponente intendesse raggiungere e le ragioni per cui la scelta è caduta sullo strumento del trust anziché su altri strumenti offerti dal nostro ordinamento.
Premesse troppo scarne o generiche, infatti, potrebbero comportare la censura da parte dell’Autorità Giudiziaria del trust in questione. Ilaria Della Vedova