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Banche di credito cooperativo Amministratori responsabilità  Professionalità  Onorabilità  Decadenza



Ci è stato chiesto di valutare se la circostanza che un membro del Consiglio di Amministrazione di una BCC abbia svolto in precedenza le funzioni di esponente aziendale di altra società durante i due esercizi precedenti la dichiarazione di fallimento di questa abbia determinato in capo all’interessato la perdita dei requisiti di professionalità e onorabilità imposti agli esponenti aziendali delle banche dall’art. 26 del d.lgs. n. 385 del 1° settembre 1993 (c.d. T.U.B.) e, quindi, se ciò abbia determinato la sua decadenza da Consigliere di amministrazione della banca.
Per dare risposta al quesito occorre muovere dall’art. 26 T.U.B., ai sensi del quale “I soggetti che svolgono funzioni di amministrazione, direzione e controllo presso banche devono possedere i requisiti di professionalità, onorabilità e indipendenza stabiliti con regolamento del Ministro dell’economia e delle finanze adottato, sentita la Banca d’Italia, ai sensi dell’articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400”.
In attuazione di quanto previsto dalla norma appena richiamata, l’allora Ministero del Tesoro, del Bilancio e della Programmazione Economica ha emanato il d.m. 18 marzo 1998, n. 161, con il quale ha esplicitato i requisiti di professionalità e onorabilità prescritti agli esponenti aziendali delle banche.
Tale provvedimento, in particolare, all’art. 4, prevede che “Non possono ricoprire le cariche di amministratore, direttore generale e sindaco in banche coloro che, almeno per i due esercizi precedenti l’adozione dei relativi provvedimenti, hanno svolto funzioni di amministrazione, direzione o controllo in imprese sottoposte a fallimento, a liquidazione coatta amministrativa o a procedure equiparate. Le frazioni dell’ultimo esercizio superiori a sei mesi equivalgono a un esercizio intero”.
Quanto alle conseguenze della violazione della disposizione appena richiamata, l’art. 2, del Titolo II, Capitolo 2 delle Istruzioni di Vigilanza prudenziale per le banche (Circolare di Banca d’Italia n. 229 del 21 aprile 1999) dispone che “Qualora gli interessati vengano, successivamente, a trovarsi in una delle situazioni indicate negli artt. … 4 del Regolamento [ossia del d.m. 161/1998, aggiunta di chi scrive], il consiglio, previo accertamento di tali situazioni … ne dichiara la decadenza e ne dà comunicazione alla Banca d’Italia. In caso di inerzia la decadenza è pronunciata dalla Banca d’Italia”.
L’art. 4 del d.m. 161/1998, tuttavia, è stato modificato dalla pronuncia del T.A.R del Lazio n. 7064 del 28 agosto 2001, la quale ne ha sancito l’illogicità e l’ingiustizia manifesta nella parte in cui prevedeva che la situazione impeditiva dell’esponente fosse determinata dal mero fatto di avere svolto la propria attività in imprese poi sottoposte a procedura concorsuale, senza richiedere l’imputabilità della situazione di dissesto all’interessato quanto meno a titolo di colpa.
Precisamente, il Giudice Amministrativo ha osservato che “in caso di coinvolgimento in crisi aziendali è possibile e realistico prevedere un apprezzamento discrezionale rimesso – per le determinazioni conseguenti – agli organi societari, e soggetto al controllo degli organi di vigilanza, diretto ad accertare l’effettiva attribuibilità dei fatti che hanno determinato la crisi aziendale a comportamenti censurabili dell’interessato, accertamento che può essere effettuato anche sulla base delle valutazioni degli organi amministrativi o giurisdizionali di gestione della crisi, così da escludere effetti preclusivi determinati da un’automatica presunzione di carenza dei requisiti professionali e di onorabilità”.
Alla luce di tale pronuncia, dunque, è giocoforza concludere che la sussistenza delle situazioni impeditive di cui all’art. 4 d.m. 161/1998 – e la relativa decadenza dell’esponente aziendale coinvolto − debba essere di volta in volta accertata dal Consiglio di Amministrazione della banca con valutazione discrezionale tesa a verificare che i fatti che hanno condotto al dissesto della società poi sottoposta a procedura concorsuale siano soggettivamente imputabili all’esponente aziendale interessato.
Non idonea ad incidere sulle conclusioni raggiunte è, poi, la circostanza che l’esponente aziendale fosse stato colpito da un provvedimento cautelare con il quale era stata ritenuta sussistente la sua responsabilità per gli atti di “mala gestio” che avrebbero determinato il dissesto della società poi fallita.
L’accertamento contenuto in un provvedimento cautelare, infatti, non impone al Consiglio di Amministrazione della banca di dichiarare la decadenza dell’esponente aziendale, con ciò di fatto precludendo all’organo amministrativo di poter svolgere la valutazione discrezionale di sussistenza della situazione impeditiva attribuitagli dalla legge.
Parimenti, è da escludere che ciò possa fondare anche solo una presunzione – assoluta o relativa – di responsabilità in capo allo stesso esponente, tale da condizionare la valutazione del Consiglio di Amministrazione della banca.
A sostegno di quanto detto, si osservi che il provvedimento cautelare prescinde da un approfondito esame del merito della questione, limitandosi ad accertare sommariamente la sussistenza del c.d. fumus boni iuris, ossia la mera plausibilità dell’esistenza del diritto azionato in giudizio e, per tale motivo, non contiene alcun accertamento in ordine alla responsabilità degli esponenti aziendali per il dissesto della società; Un effetto preclusivo simile a quello appena escluso con riferimento al provvedimento cautelare, del resto, non sembra poter essere attribuito neppure a una sentenza che accertasse nel merito la responsabilità degli esponenti aziendali per il dissesto della società.

Tale ultima considerazione, precisamente, appare ricavabile, da un punto di vista sistematico, dal confronto con l’impostazione dei recenti decreti ministeriali che hanno disciplinato i requisiti di professionalità e onorabilità degli esponenti aziendali negli ambiti contigui a quello bancario. Ci si riferisce, in particolar modo:
· in materia assicurativa, all’art. 4 del d.m. 11 novembre 2011, n. 220, il quale prevede che il Consiglio di Amministrazione, al fine di valutare la sussistenza della situazione impeditiva, possa avvalersi di “elementi probatori” tra cui rientrano “l’assenza … di condanne con sentenza anche provvisoriamente esecutiva al risarcimento dei danni in esito all’esercizio dell’azione di responsabilità ai sensi del codice civile”;
· in materia di consulenza finanziaria, all’art. 3 del d.m. 28 dicembre 2008, n. 206, il quale prevede che l’Organismo cui è demandata la valutazione della sussistenza della situazione impeditiva debba tener conto – accanto ad altri elementi probatori – anche “del fatto che … non siano state adottate nei confronti dell’interessato condanne con sentenza anche provvisoriamente esecutiva al risarcimento dei danni in esito all’esercizio dell’azione di responsabilità ai sensi del codice civile”.
Entrambe le disposizioni esaminate prendono in considerazione la circostanza che nei confronti dell’interessato siano state adottate sentenze di condanna, anche provvisoriamente esecutive, ai soli fini della prova della sussistenza della situazione impeditiva. Nessuna decadenza automatica, dunque, è collegata all’adozione di sentenze di condanna nei confronti dell’esponente aziendale; né a tale circostanza è ricollegata alcuna presunzione di perdita dei requisiti di professionalità e onorabilità. Il legislatore, in tal modo, dimostra di non ritenere vincolante − ai fini della valutazione della sussistenza della situazione impeditiva − la circostanza che siano state adottate nei confronti degli interessati sentenze di condanna, anche provvisoriamente esecutive, ritenendo tale circostanza semplice elemento indiziario; a maggior ragione, allora, una simile influenza sulla discrezionalità del Consiglio di Amministrazione dovrà essere esclusa con riferimento a un mero provvedimento cautelare, sprovvisto dei requisiti di stabilità e certezza che sono invece propri di una sentenza e la cui adozione, a differenza della sentenza, prescinde da un accertamento a cognizione piena. E poiché le riflessioni appena svolte con riferimento ai settori assicurativo e della consulenza finanziaria – stante la vicinanza di disciplina – ben possono essere trasposte in ambito bancario, è possibile concludere che la semplice adozione di un provvedimento cautelare non può vincolare il Consiglio di Amministrazione della banca all’adozione di un provvedimento di decadenza, né creare una presunzione, neppure relativa, di perdita dei requisiti di professionalità e onorabilità in capo all’interessato. Tale provvedimento, al più, potrà essere utilizzato dall’organo amministrativo come supporto probatorio per la decisione sulla sussistenza della situazione impeditiva, al pari però di qualsiasi altro documento o informazione pertinenti di cui esso abbia la disponibilità. Nicola Cecchetto